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20 aprile 2024

l'ultimo discorso a Fiscaglia

In occasione della inaugurazione della Mostra Racconto Partigiano ho fatto il mio ultimo

intervento in qualità di Assessore alla Cultura.

È stato un onore poterlo fare e resterà un ricordo indelebile di questi fantastici cinque anni.

Inizio con un ringraziamento a tutti i volontari ANPI che hanno lavorato intensamente alla riedizione di questa Mostra, recuperando il materiale necessario ad aggiornarla, e faticando nell’allestimento

Quando ANPI mi ha proposto di riallestire la mostra Racconto Partigiano ero partita pensando che avrei parlato dei Valori della Resistenza. Pensavo ad un intervento che fosse puntuale e connesso con l’attualità, alla difesa degli spazi di libertà che, lentamente ma progressivamente, vengono limati, giorno dopo giorno. Invece, strada facendo, guardando i documenti che stavamo ristampando, leggendoli, ho iniziato a riflettere. Non credo di essere ancora arrivata compiutamente alla fine della mia riflessione. Credo però che la lotta al fascismo rappresenti, almeno per quelli che come me sono abbastanza vecchi da aver avuto la fortuna e l’opportunità di conoscere  chi ha fatto la resistenza o crescere accanto a chi ha portato per tutta la vita i segni della torture sul corpo, un insieme di valori e ricordi intimi. Forse, devo accettare che il mio 25 aprile non sarà mai privo di emotività e che non riuscirò mai ad avere la capacità di fare una analisi storica e politica totalmente razionale.

Permettetemi quindi di parlare di questa mostra usando la chiave di lettura dell’empatia.

Oltre al racconto degli atti di valore e martirio dei caduti, in questa mostra io vedo un’altra dimensione. C’è un racconto della Resistenza come atto corale.

Mi piacerebbe che ci fermassimo a ragionare su questo e su quattro parole che emergono, secondo me, potenti in quello che è esposto.

La prima parola è BELLEZZA. Bellezza della gioventù. Bellezza della pulizia morale che traspare dai visi delle fotografie. Bellezza della solidarietà e di chi ha negli occhi una luce particolare. Quella di chi, anche non completamente conscio o consapevole, sentiva di lottare perché a nessuno fosse preclusa la libertà di decidere chi e cosa essere.

La seconda parola è CORAGGIO. La letteratura, il cinema, il teatri sono pieni del racconto del coraggio nella Resistenza. Qui lo vedete nel ricordo delle gesta dei Caduti: Villa, Zerbini, Mazzanti, Robustini, nel ricordo di quanto accade a La Mandria. Ma c’è un altro coraggio che esce con forza da questi fogli. Un coraggio semplice, umano. Non è un coraggio dei grandi atti eroici. È un coraggio fragile che assomiglia molto al coraggio dei piccoli maestri di Meneghello o a quello di Pin che sotterra l’arma nei nidi di ragno. È il coraggio e anche l’orgoglio di non essere mai stati iscritti al Partito Nazionale Fascista e lo rivendica con un NO enorme con tanto di punti esclamativi. È il coraggio delle persone semplici che fanno gesti semplici: nascondono armi, portano messaggi, distribuiscono viveri. 

È il coraggio di donne e uomini che in un momento drammatico non rimasero passivi

E arrivo alle due ultime parole.

PARTECIPAZIONE e SCELTA.

La partecipazione è la consapevolezza profonda che annulla la distinzione fra la sfera personale e la sfera sociale. Se penso al grande filo conduttore dell’antifascismo penso alla consapevolezza che le persone hanno di non esistere solo come individui ma parte attiva della società.

La partecipazione, allora come oggi, resta il solo e unico antidoto al fascismo.

E non c’è partecipazione senza scelta.

Ed arriva sempre il momento in cui chi ha vissuto con ideali, con valori deve scegliere, passare dalle parole ad un gesto. Queste pareti sono piene di testimonianze di persone che quel gesto, oltre le parole, lo seppero fare.

Bellezza, coraggio, partecipazione e scelta sono qui, in ognuna di queste storie.

Concludo dedicandovi pochi versi di un poeta che fu uomo di coraggio, che scelse di partecipare, di essere parte della società. I versi pieni di bellezza di Pablo Neruda che nel Memorial de Isla Negra parla così di se stesso:

Forse fui castigato

Forse fui costretto a vivere felice

Resti testimonianza qui che nessuno passò vicino a me senza che provassi compassione

E che affondassi il cucchiaio fino al gomito 

in una avversità che non era mia, nell’altrui sofferenza

Non si trattò di palma o di partito, ma di poca cosa:

non poter vivere né respirare con quell’ombra d’altri come torri,

come alberi amari che sotterrano, come colpi di pietra nei ginocchi

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